Oggi è domenica… buona domenica allora.
Io sono al lavoro, ma ho del tempo ed uno spazio per dedicarmi anche alla scrittura. Forse perché è domenica, forse perché questa mattina arrivando al lavoro sono stata colpita da una minuscola chiocciola che si arrampicava su un muretto (foto in evidenza), forse perché è un mio bisogno e riconosco sia un bisogno trasversale dell’essere umano… oggi voglio soffermarmi sulla lentezza.
Prima della lentezza viene l’ascolto
Andare lentamente implica una consapevolezza a monte: l’ascolto.
Andare lentamente implica una consapevolezza a monte: l’ascolto. Nell’ascolto ho bisogno di accorgermi del ritmo con cui mi sto muovendo, con cui vivo le esperienze che si susseguono nella giornata. Abbiamo tutti un ritmo di base che può essere molto diverso da persona a persona e risulta diverso nelle varie fasi della vita. Possiamo accorgercene pensando ai ritmi musicali che ci piacciono, o che useremmo per fare una corsa piuttosto che un bagno rilassante. La musica evidenzia in modo spettacolare il ritmo, e la variabilità di ritmo con cui possiamo stare o che non tolleriamo. A volte è più semplice ascoltare una musica, prima di imparare ad ascoltare sé. Può essere un buon punto di partenza.
Ascoltare la musica può aiutare ad orientarci nell’ascolto del nostro ritmo.
Il bisogno di rallentare
Per un neonato, il cui ritmo di sviluppo è rapidissimo, c’è di compenso un bisogno profondo di lentezza. Il neonato richiede, richiama e induce nell’adulto sensibile ed accudente una lentezza di modi, di gesti, lentezza di presentazione degli stimoli (luce, rumori, tocco, altri esseri viventi… ). Una lentezza, un ritmo lento per permettergli o permetterle di iniziare a contattare il mondo un pezzetto alla volta. Il suo organismo è impegnato nei processi fisiologici di base che hanno a che fare con l’adattamento all’aria, alla gravità, e ad ogni stimolo percettivo che lo colpisce.
Il sistema nervoso di un neonato, che paragonato agli altri mammiferi che popolano la terra è immaturo alla nascita, oltre all’accrescimento sta già elaborando ed integrando una mole di informazioni che lo investe. Tutto insieme, con tutti i suoi sistemi esistenziali, questo piccolo essere vivente è impegnato in una nuova nutrizione, una nuova respirazione, all’interno di ritmi circadiani con cui sincronizzarsi; e in una nuova relazione, in cui è già autonomo ma quasi completamente dipendente, attraverso la quale garantirsi la sopravvivenza. La lentezza è d’obbligo.
Nella pratica del massaggio l’attenzione al ritmo è posta attraverso le posture, i movimenti con cui si accompagna il tocco delle mani, la voce e il canto delle ninne-nanne. Inoltre passa come messaggio indiretto rispetto alla progressione nell’insegnamento: il neonato e il bambino di pochi mesi hanno necessità di prendere un nuovo pezzetto alla volta, e anche i neo-genitori hanno bisogno di rispettare sia il ritmo del nuovo arrivato, sia il loro recupero dal parto (la mamma perché insieme al bambino ha vissuto profondamente e fisicamente gravidanza e parto, il papà perché insieme a loro è diventato partecipe concreto e presente in un equilibrio relazionale completamente diverso).
Poi però si cresce: il neonato diventa bambino, e nell’arco di 12-18 mesi questo bambino ha già assunto un ritmo ben più rapido. La velocità con cui assimila ed impara non ha eguali negli altri periodi della vita; fino ai tre anni, anche la mente del bambino ha una capacità assorbente circa il mondo, la vita, i suoi contenuti e le modalità di relazione che non possiamo recuperare, se non in parte, in particolari momenti e in particolari condizioni. Guidato dai periodi sensitivi il bambino, se lasciato libero, alternerà momenti di attività a momenti di riposo, in modo naturale, spontaneo. Avrà probabilmente ancora bisogno di un aiuto per rallentare in vista della nanna, ma questa è un’altra storia (e ne parlerò successivamente).
La questione della lentezza
Nelle prime fasi della nostra vita stabiliamo alcune modalità preferenziali di vivere il nostro ritmo di base, e siccome l’energia a disposizione è tanta, così come la capacità di rinnovarla, lo stabilirsi di questi modi passa al di là della consapevolezza. Possiamo così attraversare le varie fasi della nostra vita, fino all’età adulta, ma spesso anche fino alla terza età, senza porci mai la questione della lentezza (o della velocità). Conosco persone che, dato che “si fa così perché si è sempre fatto così e così va fatto”, semplicemente hanno fatto un copia/incolla di ciò che hanno vissuto, e hanno visto vivere, e così si applicano alle loro esperienze.
Ma sempre più spesso sento adolescenti e adulti lamentarsi di quanto il mondo vada veloce, che c’è bisogno di rallentare, che bisognerebbe recuperare dei ritmi più naturali. Chi auspica di seguire la luce del sole – rinunciando quindi alle ore di luce in più date dalla disponibilità dell’elettricità – piuttosto di cercare attività alternative alla frenesia.
Sì, è vero, lo riconosco: il mondo va veloce, questo mondo virtuale addirittura va velocissimo rispetto al nostro ritmo biologico, che ci tiene gioco forza ancoràti ai ritmi circadiani in cui siamo immersi. A me è capitato, soprattutto dopo essere diventata mamma, di vedermi volare giornate, ricorrendomi. Tra le cose che vanno fatte (routine quotidiana in casa piuttosto che al lavoro), le esigenze altrui (nel caso dei bambini, le mamme possono confermare?), e magari l’ora solare, come di questi tempi, un giorno sembra esserci scappato via. E corriamo nel preparare la colazione, nel vestirci, nell’aiutare qualche piccolo a vestirsi, poi via di corsa per strada, e di corsa i saluti, e di corsa al lavoro, e sul lavoro (dipende… dipende tanto dal tipo di lavoro, ma pecco e generalizzo) le richieste si susseguono, le cose a cui rispondere si accumulano. Chi è molto fortunato magari ha la pausa caffé, e allora lì magari un’occasione per riprenderci il tempo c’è; ma magari bisogna tornare di corsa al lavoro per finire di corsa quel lavoro (scadenze sempre in avvicinamento, obiettivi da raggiungere, macinare e rimacinare, conti alla rovescia… ) e poi di corsa a prendere i bimbi o preparare il pranzo o portare i bimbi in giro, e poi a casa “giochiamo insieme?” e facciamo di corsa un gioco per poi fare la cena (mangiata di corsa) perché poi inizia la routine serale, pre-nanna e nanna e… eh certo, così scappa tutto.
Succede che, da adulti, a volte siamo soverchiati dal bisogno di rallentare.
Se ce ne accorgiamo, possiamo evitare di rintanarci nel nostro guscio (perché accade che, a volte, ma solo a volte, questo bisogno rimane inascoltato per così tanto tempo che poi, quando davvero non riusciamo a rinnovare le nostre energie, facciamo come la chiocciola di questa foto: ci chiudiamo su noi stessi, chi si imbozzola, chi dentro la corazza, chi nel guscio… e vegetiamo per un po’).
Ma al posto di difenderci a spada tratta, invece di rispondere puntualmente a ritmi indotti in modo acritico e deresponsabilizzante, possiamo ricordarci del nostro potere: noi possiamo riconoscerci responsabili di questo bisogno, e accedere alle nostre energie creative per trovare quanti più modi possibili e immaginabili per ritagliarci, all’interno di un contesto che magari nel breve periodo non è modificabile, delle piccole oasi di lentezza.
Abbiamo bisogno di piccole oasi di lentezza… l e n t e z z a . . .
Ma per farci che? L’andamento lento
Per rinnovare le nostre energie, rinfrescare l’ambiente stantìo che viene a crearsi dopo giorni, mesi, anni di corsa… per assaporare bene le texture di ciò con cui siamo in contatto, per osservarci e osservare un istante la vita in cui siamo immersi, di cui siamo parte. Per accorgerci dei dettagli, delineare un tratto definito, imprimere un’impronta.
Uscire dal barattolo, come queste lumachine, protenderci pian pianino verso qualcosa che attira il nostro interesse, attiva il nostro desiderio. Dosare il movimento verso, trovare l’equilibrio per un passaggio delicato.
E poi poter cedere, riempire di noi un contatto con il nutrimento che abbiamo scelto, che ci è stato offerto.
Una grande donna, che per un periodo ho sentito molto vicina, è un’artigiana: lei mi ha insegnato il valore della lentezza nel preparare utensili e contenitori di argilla. Per lavorare la terra ci vuole tempo, e dopo aver lavorato un pezzo bisogna lasciarlo riposare. Intanto è possibile prendere un caffé. Poi è necessario ritornarci, e poi di nuovo lasciarlo riposare.
Lo stesso procedimento lo si usa per la preparazione di alcuni cibi: per una buona pasta di pizza (uno dei miei piatti preferiti) dopo il primo impasto bisogna attendere la prima lievitazione, dopo il secondo impasto e averla stesa bisogna nuovamente attendere una seconda lievitazione, per poi avere una pasta buona da utilizzare per creare il piatto finale.
I lavori manuali, per esempio per me l’uncinetto e il lavoro a maglia, mi hanno aiutata moltissimo a rallentare: non c’è verso di andare troppo veloce, altrimenti si rischia di perdere il conto dei punti, o di sbagliare; fermo restando che amo gli errori, visto che sono i nostri maestri. Resta il piacere: andando piano, no, meglio, andando lentamente, il piacere si dilata. Piacere prendetelo in senso ampio: il piacere nel sentire di essere pienamente vivi, pienamente presenti, qualsiasi sia lo stato interiore e qualsiasi sia il contesto in cui ci troviamo a vivere.
Fatemi sapere cosa ne pensate… e buona, dolce, lenta domenica a tutti.